Cassazione, ordinanza del 7 marzo 2024 n. 6106
Il caso esaminato dalla Suprema Corte è originato dal ricorso proposto da un ex marito avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano, che gli aveva posto a carico un assegno divorzile di euro 400,00 mensili.
La Corte di Cassazione, esaminando la vicenda, ha chiarito che: “In materia di assegno divorzile, il giudizio sull’adeguatezza dei redditi degli ex coniugi – cui consegue nell’ipotesi di accertato squilibrio determinato dallo scioglimento del vincolo, l’operatività del meccanismo compensativo-retributivo per l’attribuzione e determinazione in concreto – deve essere improntato al criterio dell’effettività, con valutazione da svolgersi all’attualità e non in forza di un giudizio ipotetico, le cui premesse, quanto alla loro verificabilità, restino incerte, o si fondino su un ragionamento ipotetico i cui esiti vengano ricalcati su pregressi contesti individuali ed economici, non più rispondenti a quello di riferimento (Cass. 35710/2021). Viene in considerazione, nella specie, anche il principio secondo cui il riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa non si fonda sul fatto, in sé, che uno degli ex coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e dei figli, né sull’esistenza in sé di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi – che costituisce solo una precondizione fattuale per l’applicazione dei parametri di cui all’art. 5, comma 6, l. n. 898 del 1970 – essendo invece necessaria un’indagine sulle ragioni e sulle conseguenze della scelta, seppure condivisa, di colui che chiede l’assegno, di dedicarsi prevalentemente all’attività familiare, la quale assume rilievo nei limiti in cui comporti sacrifici di aspettative professionali e reddituali, la cui prova spetta al richiedente (Cass. 29920/2022).“