Cassazione, Ordinanza del 12 marzo 2024 n. 6443
Il caso preso in esame dalla Suprema Corte analizza le sorti dell’assegno divorzile in caso di instaurazione di una stabile convivenza di fatto fra un terzo e un ex coniuge. In particolare, in un giudizio di modifica delle condizioni di divorzio, la Corte di appello aveva sostanzialmente confermato il provvedimento di primo grado con il quale era stata revocata in toto la contribuzione, ritenendo che fosse stata provata la instaurazione di convivenza stabile.
A tal riguardo, la Corte di cassazione, accogliendo il ricorso presentato da parte dell’ex coniuge, specifica che: “Com’è noto, la giurisprudenza più recente di questa Corte (Cass. Sez. U. n. 18287/2018 ) ha stabilito che il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5 , comma 6, della legge n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno.
I criteri attributivi e determinativi dell’assegno divorzile non dipendono, pertanto, dal tenore di vita godibile durante il matrimonio, operando lo squilibrio economico patrimoniale tra i coniugi unicamente come precondizione fattuale, il cui accertamento è necessario per l’applicazione dei parametri di cui all’art. 5 , comma 6, prima parte, l. n. 898 del 1970 , in ragione della finalità composita assistenziale e perequativo-compensativa di detto assegno (Cass. n. 32398/2019 ).
II giudizio deve essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.
In altre parole, il giudice del merito è chiamato ad accertare la necessità di compensare il coniuge economicamente più debole per il particolare contributo dato, durante la vita matrimoniale, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge, nella constatata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nelle scelte fatte durante il matrimonio, idonee a condurre l’istante a rinunciare a realistiche occasioni professionali-reddituali, la cui prova in giudizio spetta al richiedente (Cass. n. 9144/2023 ; Cass. n. 23583/2022 ; Cass. n. 38362/2021).”
La Suprema Corte pertanto conclude che: “qualora – come nel caso di specie – sia instaurata una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche nell’attualità di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, conserva il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio, in funzione esclusivamente compensativa, dovendo fornire la prova secondo i criteri già indicati (Cass. Sez. U. n. 32198/2021). Orbene, la Corte di appello, nello statuire sulla richiesta di conservazione dell’assegno divorzile, proposta anche con riferimento a profili eminentemente compensativi (durata ultratrentennale del matrimonio, sacrificio delle aspettative professionali e reddituali della ex moglie per dedicarsi alla famiglia e consentire al marito di affermarsi nel proprio lavoro), come si evince dallo stesso decreto (fol.5), non ha proprio esaminato questo specifico profilo.”