Dopo l’approvazione del tanto discusso decreto legge 12 settembre 2014 n. 132, coordinato con la legge di conversione 10 novembre n. 162, conosciuto anche, da parte degli avvocati, come decreto sulla negoziazione assistita, che ha ingenerato molta confusione e del quale se ne poteva fare volentieri a meno, ci sono stati molteplici articoli apparsi sul web che titolavano, in modo più o meno simile, come divorziare fosse ormai possibile, in Comune, con pochi euro, eliminando spese eccessive e tempi lunghi, senza l’intervento degli avvocati.
Citiamo qualcuno di questi titoli: “In Comune divorzio low cost: bastano trentadue euro”, oppure “Divorzi in Comune: bastano 16 euro per dirsi addio” e così via, titoli più o meno simili.
La conseguenza di questo tipo di informazione superficiale è quella di far intendere al cittadino, già disorientato dalle novità normative, che la procedura delle separazioni e dei divorzi non prevede più il ricorso all’Avvocato e al Tribunale, ormai entrambi, secondo quello che vorrebbero far intendere tali titoli, relegati a mero ricordo nelle questioni che investono il diritto di famiglia.
Solo andando a leggere i predetti articoli nel dettaglio si può capire un po’ meglio che invece non è proprio così, perché, secondo quello che dicono le nuove norme, la possibilità da parte dei coniugi di non ricorrere agli avvocati e ai giudici, andando direttamente davanti all’ufficiale dello Stato Civile, è veramente residuale e può avvenire solo quando non si hanno figli minori, ovvero maggiorenni portatori di handicap grave, ovvero non economicamente autosufficienti. L’accordo così concluso, inoltre, non può contenere patti di trasferimento patrimoniale.
In tutti gli altri casi, quindi, consensuali non solo è ancora previsto l’obbligo di ricorrere agli avvocati ma, nel caso di separazioni, divorzi, ovvero modifica delle condizioni di separazione o divorzio giudiziali, occorre ancora andare davanti al Giudice ed essere assistiti obbligatoriamente da un avvocato. Però, come già detto, tutto questo la gente non lo ha capito bene e, certo, alcuni giornalisti hanno contribuito a non farlo capire bene, con tali titoli, finalizzati solo ad inseguire uno scoop inesistente e ad alimentare la confusione già presente.
Per non parlare, poi, del discorso delle coppie di fatto che nel caso in cui, avvenuta la rottura, debbano regolamentare la situazione dell’affidamento dei figli minori e del relativo mantenimento sono rimaste del tutto estranee (per fortuna) alla nuova normativa, per cui nel loro caso si continuerà a doversi rivolgere solo al tribunale ordinario, sia nelle procedure consensuali che in quelle giudiziali. Ma su questo punto i giornalisti hanno volentieri taciuto, come se la realtà che investe le coppie di fatto, che come sappiamo sono aumentate vertiginosamente in questi ultimi anni, fosse meno importante di quella delle coppie sposate.
La cosa più rilevante da sottolineare è che il ricorso, seppur residuale alla negoziazione assistita e, quindi, anche al “fai da te” davanti all’ufficiale di stato civile, nei pochi casi consentiti, è del tutto facoltativo, per cui è possibile continuare ad esperire i vecchi ricorsi davanti al tribunale in qualsiasi caso e non possiamo negare che, considerati i diritti in discussione, sia spesso una strada da consigliare a tutte le coppie che si separano, visto che questo campo non può essere lasciato all’improvvisazione e alla superficialità o a chi non è competente in materia.
Possiamo, quindi, affermarlo a testa alta, in barba a chi vorrebbe quasi cancellare gli avvocati e i giudici in questo settore: per fortuna per le coppie che si separano e soprattutto per tutelare i loro figli c’è ancora bisogno di noi avvocati e dell’intervento del giudice, a garanzia proprio di quei diritti dei quali questo governo sembra essersi dimenticato.