Cassazione – ordinanza n. 42142 – 31 dicembre 2021

La vicenda fa riferimento al ricorso di un padre avverso la decisione della Corte di Appello di Lecce di confermare la sentenza con cui il Tribunale aveva dichiarato lo stato di adottabilità dei tre figli minorenni, poiché i genitori erano stati considerati inidonei alla funzione genitoriale.
In particolare, la madre aveva intrapreso una relazione extraconiugale, trascurando i figli e allontanandosi dalla casa familiare; il padre, invece, era stato giudicato incapace di risorse, anche intellettive.

La Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del padre, affermando: “Nella giurisprudenza di questa Corte si è andato delineando un orientamento compatto secondo il quale il ricorso alla dichiarazione di adottabilità costituisce solo un rimedio eccezionale e una “soluzione estrema”, poiché il diritto del minore a crescere e ad essere educato nella propria famiglia d’origine, quale ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, è tutelato in via prioritaria dalla L. n. 184 del 1983. Pertanto il giudice di merito deve operare un giudizio prognostico teso, in primo luogo, a verificare l’effettiva ed attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento sia alle condizioni di lavoro, reddituali e abitative, senza che però assumano valenza discriminatoria, sia a quelle psichiche, da valutarsi, se del caso, mediante specifica indagine peritale, estendendo tale indagine anche al nucleo familiare, di cui occorre accertare la concreta possibilità di supportare i genitori e di sviluppare rapporti con il minore, avvalendosi dell’intervento dei servizi territoriali. […] Ancora recentemente le Sezioni Unite (Sez. Un., n. 35110 del 17.11.2021) hanno ripreso questo principio per precisare che la dichiarazione di adottabilità di un minore, in forza dell’art. 8 CEDU, dell’art. 7 della Carta di Nizza e dell’art. 18 della Convenzione di Istanbul, costituisce una extrema ratio che si fonda sull’accertamento dell’irreversibile non recuperabilità della capacità genitoriale in presenza di fatti gravi, indicativi in modo certo dello stato di abbandono, morale e materiale, a norma della L. n. 183 del 1984, art. 8 che devono essere dimostrati in concreto nei confronti di entrambi i genitori, sicché detta pronuncia non può essere fondata esclusivamente sullo stato di sudditanza e di assoggettamento fisico e psicologico in cui versi uno dei genitori, per effetto delle reiterate e gravi violenze subite dall’altro.”

I giudici della Suprema Corte, inoltre, hanno aggiunto: “A tali principi non si è conformata la Corte salentina, non esplorando, come avrebbe dovuto, soluzioni alternative alla scelta più radicale attraverso il supporto assistenziale al sig. N., che lui pure aveva richiesto e sollecitato. La Corte di appello non ha tenuto conto del profondo legame affettivo fra il sig. N. e i tre figli e della sua presenza assidua nella frequentazione dei bambini presso la struttura di collocamento, pure riferito dai servizi sociali e dalla consulente tecnica, fattore questo fondamentale alla ricerca di una soluzione “non estrema” della crisi familiare […]. La Corte di appello ha attribuito rilievo decisivo a circostanze, stigmatizzate come immodificabili e irrecuperabili, obiettivamente irrilevanti, legate alla deficitaria dotazione cognitiva e alle profonde carenze culturali ed espressive del ricorrente […]”.

Secondo la Cassazione infine: “Tali fattori di arretratezza cognitiva e culturale non dovevano essere valutati e almeno non dovevano vedersi riconoscere un rilievo decisivo ai fini dell’esclusione della capacità genitoriale e dell’accertamento dello stato di abbandono morale e materiale dei minori, perché ciò dà ingresso a una tipologia di intervento statuale che, pur diretto alla protezione dei minori, finisce con il ledere, come osserva correttamente il ricorrente, la dignità della persona e mirare alla selezione del miglior genitore possibile in sostituzione di quello biologico, culturalmente e intellettivamente arretrato.”