Cass. Civ., Sez. I, ordinanza n. 6889 del 8 marzo 2023
La questione posta all’attenzione della Corte di Cassazione si riferisce agli effetti della ripresa della convivenza tra divorziati, per un periodo temporalmente definito (senza che quindi gli stessi siano addivenuti a nuove nozze), quale circostanza sopravvenuta idonea a consentire al giudice, adito in sede di revisione delle condizioni economiche del divorzio, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9 di rivalutare le condizioni ed i criteri previsti dalla legge (e dalla giurisprudenza di legittimità costituente il diritto vivente) per l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno divorzile.
La Corte d’appello aveva rilevato che, quand’anche si potesse ritenere intervenuta tra gli ex coniugi una temporanea riconciliazione con ripristino della comunione materiale e spirituale, la stessa non avrebbe potuto determinare in alcun modo anche rinuncia da parte dell’ex coniuge “al diritto” all’assegno divorzile “e non piuttosto alle sole prestazioni nel periodo di ripresa della convivenza”, cosicché non era precluso alla stessa di esigere l’assegno divorzile a decorre dalla cessazione della asserita ripresa della convivenza.
La Corte di Cassazione, invece, dando sostanzialmente torto ai giudici d’appello, ha specificato che: “tale “riconciliazione” successiva al divorzio non può non avere incidenza, quale fatto sopravvenuto, sulla richiesta di revisione dell’assegno divorzile, trattandosi in verità di una vera e propria sopravvenienza rispetto all’equilibrio anteriore, consegnato, per la sua regolazione, a un giudicato rebus sic stantibus, oramai non più capace di regolare il nuovo e modificato assetto di interessi post-coniugali.”